Stretching Globale Attivo Rimodellante (SGAR)

1) L’ORGANIZZAZIONE DEI MUSCOLI SCHELETRICI

Il corpo ha un’organizzazione di tutta la muscolatura in “catene muscolari” (o miofasciali).

Tutte le deformazioni sono causate, per la maggior parte, da un accorciamento dei muscoli posteriori, come conseguenza dei movimenti quotidiani sottoposti inevitabilmente alla forza di gravità.

In buona sostanza i muscoli poliarticolari posteriori sono embricati tra loro, ovvero si sovrappongono come le tegole di un tetto, formando così una linea di forza continua, definita appunto catena muscolare.

Questa però risulta sempre ipertonica ed in costante retrazione, tanto da costituire il vero motivo di tutti i dismorfismi: scoliosi, dorso curvo, periartriti, sciatalgie, ernie discali, artrosi, gambe vare, valghe, alluce valgo e così via.

In altre parole tutti i muscoli del dorso si comportano come un solo muscolo, eccessivamente forte e corto; quindi, essendo tali muscoli concatenati tra loro, ogni azione innesca lo spostamento della muscolatura della stessa catena (es. se a livello lombare si annulla l’iperlordosi, l’accentuazione della curva si sposta nella zona cervicale e viceversa).

Un dismorfismo pertanto è semplicemente un’alterazione della forma “normale”, la quale corrisponde alle proporzioni del ben noto numero aureo dei pitagorici che si ritrova ovunque in natura: nell’evoluzione delle onde del mare, nelle conchiglie, piante, insettti, DNA ecc.

Approfondimento muscoli statici e dinamici

Alcune osservazioni sull’organizzazione muscolare e i problemi che ne derivano.

L’uomo ha due tipologie di muscoli: gli “statici”, molto tonici e particolarmente ricchi di tessuto fibroso che consentono la posizione ortostatica; i “dinamici”, poco tonici e con meno fibre connettive, che compiono i movimenti di maggiore ampiezza.

I muscoli statici costituiscono circa due terzi della nostra muscolatura, e diversamente ai dinamici non riposano mai; essi mediante il loro tono garantiscono la posizione eretta e con la loro contrazione consentono i movimenti correnti.

Essendo sempre affaticati, i muscoli statici progredisconono modellandosi in accorciamento; invece i dinamici, muscoli pigri, propendono al rilassamento.

I muscoli della dinamica non sono coinvolti in nessuna funzione di mantenimento, né di blocco; se c’è deformazione, deviazione, assenza di ampiezza articolare, ciò è provocato dalla rigidità degli statici.

I muscoli inspiratori sono statici: in caso di rigidità frenano il torace, bloccando l’espirazione e limitando di conseguenza la ventilazione.

L’accorciamento degli statici comprime le articolazioni.

Ogni attività, soprattutto quella sportiva, sollecita in maniera indifferenziata statici e dinamici; questo provoca risultati favorevoli sui dinamici che sono inclini al rilassamento, ma di contro enfatizzano l’ipertonicità e la rigidità degli statici.

Non esiste pertanto alcuno sport privo di lati negativi.

Inoltre dato che la forza di un muscolo è direttamente proporzionale alla sua elasticità, quando esso diviene rigido risulta anche debole.

Velocità, potenza e precisione sono indivisibili dall’elasticità.

Dunque è necessario allungare gli statici, per consentire loro di ripristinare la lunghezza ideale.

Però non si deve fare confusione tra l’elasticità legamentosa e muscolare, perché chi mostra una determinata lassità legamentosa non è veramente elastico nei propri muscoli della statica.

Al contempo, se tutti presentano rigidità muscolare, ognuno non lo è nella medesima zona.

In sostanza tutto è determinato dalla morfologia e dall’attività fisica, per cui in base alla situazione occorrerà concentrarsi sulla flessibilità di certi gruppi muscolari.

L’aspetto fondamentale è nel rispettare la globalità, perché in assenza di quest’ultima non c’è efficacia.

La muscolatura della statica è strutturata in una sorta di catene muscolari (o miofasciali) e ciascun muscolo o gruppo muscolare ne rappresenta una maglia.

Questo significa che l’allungamento di una zona verrà forzatamente recuperato mediante l’accorciamento di un’altra zona della catena.

Se si vuole allungare un elastico si deve tirare alle due estremità, stessa cosa per una catena muscolare che procede dalla testa ai piedi.

A questo punto risulta chiaro che solamente l’allungamento globale, senza alcun tipo di compensazioni, è veramente efficace.

I muscoli necessitano di essere elasticizzati in direzione opposta alla loro fisiologia, dal momento che la trazione assiale rimane prioritaria.

Nello stretching ci si deve attenere rigorosamente al principio di globalità, ricordando che in qualsiasi tratto della catena muscolare possono manifestarsi compensazioni.

In tal caso l’allungamento non solo risulta privo di efficacia, bensì potrebbe essere esso stesso motivo di deformazioni.

Una trazione ad entrambe le estremità della catena muscolare consente lo stretching globale.

Le posizioni per lo stiramento esigono la simmetria, solo così è possibile non incappare nelle compensazioni in rotazione, in flessione laterale e nei danni articolari che esse potrebbero causare.

I muscoli spinali necessitano di venire stirati in assenza di torsioni del rachide.

Le torsioni imposte da tutti gli esercizi di stretching asimmetrici sono potenzialmente dannose, senza contare che tali esercizi risultano inefficaci perché la loro natura è necessariamente analitica e quindi presupposto di compensazioni.

2) EFFETTI FISIOLOGICI DELLO SGAR

Chiariamo quali sono i meccanismi ritenuti responsabili di un allungamento “stabile” della catena muscolare (o miofasciale).

In altre parole descriviamo gli effetti fisiologici dello SGR reiterato nel tempo sull’ultrastruttura del muscolo scheletrico.

I miglioramenti che si verificano possono essere spiegati sulla base di azioni che intervengono su tre strutture del muscolo scheletrico:

  • Gli elementi connettivali: riorientamento delle fibre collagene dell’endomisio con un angolo meno acuto rispetto a l’asse actina-miosina; e ridotta reticolazione (minore formazione di cross-linking) delle fibre collagene. N. B. Risulta fondamentale una conoscenza dettagliata riguardo la cosiddetta Matrice Extracellulare (MEC), che nel caso del muscolo scheletrico è l’endomisio (ma anche il perimisio e l’epimisio), perché in grado di influenzare il comportamento della cellula (nello specifico, della fibrocellula o cellula muscolare) e viceversa, ossia quest’ultima è capace di influenzare la MEC. Ricordiamo che la MEC subisce notevoli modifiche in base al tipo di alimentazione e agli stimoli meccanici che riceve.
  • Le componenti proteiche: formazione dei sarcomeri seriali; ed espressione di una specifica isoforma di titina più elastica.
  • Le parti recettoriali: reset del riflesso da stiramento a livello del Fuso Neuromuscolare; e fenomeno dello stretch tolerance per l’innalzamento della soglia di attivazione nocicettiva.

Influssi sugli elementi connettivali

Il più importante fattore limitante l’estensibilità di un muscolo scheletrico (o striato), risiede nei vari livelli di organizzazione architettonica del tessuto connettivo che lo avvolge: endomisio, perimisio ed epimisio.

Il termine “miofascia” indica tecnicamente tutti i tessuti connettivali di tipo denso che circondano il muscolo a vari livelli strutturali.

L’endomisio è la componente connettivale del muscolo più profonda, avvolge ciascuna fibrocellula e lega quest’ultima alle altre, ma ne permette il reciproco scorrimento; inoltre veicola vasi sanguigni di piccolo calibro che forniscono i nutrienti alle stesse fibre muscolari.

Esso si combina con il perimisio, che circonda un fascicolo muscolare, e con l’epimisio, che avvolge tutti i fascicoli del muscolo scheletrico, formando poi i tendini che connettono i muscoli alle ossa.

Queste miofasce hanno la caratteristica di essere viscoelastiche.

Ora, un tessuto viscoso, si deforma e rimane deformato in modo permanente; mentre un tessuto elastico, ritorna alla lunghezza originaria quando la forza viene rimossa.

Invece un tessuto viscoelastico rimarrà allungato per un po’ di tempo prima di tornare alla sua lunghezza originale; quindi le deformazioni non sono permanenti perché le proprietà elastiche alla fine porteranno il tessuto alla sua lunghezza originale.

I cambiamenti duraturi derivano dal rimodellamento adattativo del tessuto connettivo; e l’endomisio tende a modellarsi in accorciamento soprattutto con malnutrizione, disidratazione nonché movimenti incompleti a corto raggio.

Così vengono generati i dolori alla schiena o alle articolazioni perché aumenta cronicamente la pressione su di esse.

L’importanza di fare lo stretching globale è direttamente proporzionale al grado di accorciamento e rigidità cui versano i muscoli; più esso è elevato, maggiore può essere il danno per le performance atletiche e incrementare il rischio di lesioni.

Quando un muscolo si accorcia, la proporzione di collagene aumenta a livello del perimisio in 48 ore e al livello di endomisio in 168 ore. In altre parole, la perdita di sarcomeri seriali che si verifica con l’immobilizzazione dei muscoli in una posizione accorciata viene associata ad un aumento della proporzione di collagene e conseguente maggiore rigidità muscolare.

Si è constatato che l’accumulo del tessuto connettivo nei muscoli inattivi può essere prevenuto mediante uno stiramento passivo oppure una stimolazione attiva.

È stato anche dimostrato che se il muscolo lavora su un range ridotto, si verifica una riduzione dei sarcomeri seriali, esattamente come nei muscoli immobilizzati nella posizione accorciata; solo che in questo caso non vi è un concomitante aumento del tessuto connettivo.

La ridotta lunghezza dei muscoli immobilizzati in una posizione accorciata determina una loro minore compliance.

L’analisi biochimica del quantitativo di idrossiprolina dei muscoli immobilizzati in posizione accorciata per diversi periodi di tempo ha mostrato un aumento del rapporto tra collagene e tessuto muscolare.

Ciò si è verificato durante i primi giorni di immobilizzazione, prima che ci fosse una significativa perdita di sarcomeri.

Quindi l’aumento del tessuto connettivo sembra derivare direttamente dall’immobilizzazione, piuttosto che dalla ridistribuzione del tessuto connettivo a seguito dell’accorciamento delle fibre.

Se si effettua un confronto a quanto riscontrato nei muscoli normali, in quelli immobilizzati è stato constatato che le fibre di collagene si dispongono con un angolo più acuto rispetto all’asse dei filamenti di actina e miosina; ciò dovrebbe influenzare la compliance del muscolo.

Va segnalato anche uno studio in cui è stato dimostrato un aumento dello spessore dell’endomisio con l’invecchiamento.

L’efficienza meccanica può essere compromessa per l’aumento della quantità di collagene poiché il movimento dipende dall’angolazione endomisiale alla fine della sua traiettoria muscolo-tendinea.

Diversi studiosi sostengono che la trasmissione della forza generata dal muscolo scheletrico al tendine debba avvenire sia per via diretta, ossia in serie, che trasversalmente; anche se il suo vero percorso è ancora scarsamente compreso.

La maggior parte della forza generata dalle miofibrille, dato che quest’ultime di norma terminano nei fascicoli senza raggiungere entrambe le estremità della giunzione miotendinea, deve essere trasmessa lateralmente passando attraverso la matrice extracellulare (MEC), elemento che contraddistingue i tessuti connettivi.

Tale percorso è stato definito come la “trasmissione laterale della forza nei muscoli scheletrici”.

Sebbene l’estistenza e la necessità di quest’ultima siano state dimostrate sperimentalmente tra singole fibre muscolari e fascicoli, e persino diversi muscoli, il suo meccanismo non è chiaro.

La MEC circonda le miofibrille e fornisce loro non solo un supporto strutturale per garantirne l’integrità, ma, aspetto più rilevante, per determinarne i comportamenti meccanici.

Difatti, ad esempio, la trasmissione laterale della forza incrementa in caso di maggiore rigidità della MEC.

Le proprietà biofisiche e biochimiche della MEC determinano la meccanotrasduzione nella fibrocellula; di conseguenza i cambiamenti nella MEC possono alterare i passaggi dei segnali meccanici così da influenzare l’adattamento muscolare all’invecchiamento, alle lesioni, alle malattie e ai risultati dei corrispettivi trattamenti.

Il turnover della MEC è influenzato dall’attività fisica e sia la sintesi del collagene che gli enzimi di metalloproteasi degradanti aumentano con il carico meccanico.

È stato appurato che dopo l’esercizio fisico sono migliorate la trascrizione, le modifiche post-traduzionali nonché il rilascio locale e sistemico dei fattori di crescita.

Anche per i tendini c’è un’attività metabolica, una risposta circolatoria e un ricambio del collagene più consistenti di quanto si pensasse.

Al contrario, l’inattività diminuisce vistosamente il ricambio del collagene sia nel tendine che nelle miofasce.

Il carico costante derivante dall’allenamento induce sia un incremento del turnover del collagene, che un aumento totale della sua sintesi.

Queste modifiche andranno ad alterare le proprietà meccaniche e viscoelastiche del tessuto, riducendone lo stress e probabilmente rendendolo più resistente al carico.

La reticolazione nel tessuto connettivo implica un’interazione intima ed enzimatica tra la sintesi del collagene e le componenti del proteoglicano nella MEC, durante lo sviluppo, influenzando così le caratteristiche funzionali del collagene miofasciale.

Con l’invecchiamento, la glicazione contribuisce ad un ulteriore cross-linking, cioè una reticolazione tra le fibre di collagene, che incrementa la rigidità del tessuto connettivo.

Molto probabilmente i percorsi fisiologici di segnalazione, dal carico meccanico alle variazioni nella MEC, modificano rapidamente le proprietà di quest’ultima per l’attivazione di sistemi a feedback.

Sono stati osservati percorsi di segnalazioni comuni per stimolare le fibrocellule e la MEC.

L’importanza della MEC nell’adattamento delle miofibrille è stata inquadrata meglio con le risposte da sovraccarico non ben ripristinate.

La formazione di lesioni da sovraccarico nei tendini provoca delle modifiche morfologiche e biochimiche come: alterazione della normalizzazione del collagene e dimensione della miofibrilla, zone di iper vascolarizzazione, accumulo di sostanze nocicettive e peggiorata attività di degradazione del collagene.

Contrastare questi fenomeni richiede un carico adeguato piuttosto che una sua totale assenza sotto forma di immobilizzazione.

La comprensione di questi processi fisiologici fornirà le basi per la giusta individuazione del sovraccarico da utilizzare nell’attività fisica.

Tirando le somme, lo stretching potrebbe indurre un cambiamento semipermanente della lunghezza delle miofasce; ma anche dei tendini, dei legamenti e del tessuto cicatriziale. Inoltre potrebbe sollecitare la sintesi di acido ialuronico e glicosaminoglicani, nonché la ritenzione di acqua.

Ciò consentirebbe una specie di effetto lubrificante del tessuto connettivo, per cui le fibre al suo interno potrebbero disporsi spazialmente ad una distanza tale da evitare una esagerata creazione dei sopracitati cross-linking

Influssi sulle componenti proteiche

Durante l’allungamento passivo del sarcomero si distinguono due fasi: nella prima, i miofilamenti di actina e miosina si lasciano elongare con relativa facilità; invece nella seconda è la volta della titina, responsabile anche del resting tension.

Quindi nel corso dello stretching la titina si distende, al contrario durante l’accorciamento del sarcomero si detende.

La titina svolge due funzioni: da un lato stabilizza la posizione della miosina sull’actina, dall’altro la sua elasticità consente al muscolo allungato di tornare alla lunghezza di partenza.    

Tale comportamento può in parte spiegare la particolare estensibilità oppure la tipica rigidità di alcuni gruppi muscolari.

Alcuni studi hanno dimostrato che il sarcomero può essere allungato fino al 150%, cioè non oltre una volta e mezza la sua lunghezza di riposo, anche se occorre sottolineare che simili risultati sono registrabili solamente nel corso di sperimentazioni effettuate in vitro.

In realtà anche in atleti dotati di una notevole estensibilità muscolare, considerando pure i cross-bridge residui in fase di rilassamento, è difficile registrare allungamenti superiori al 140%.

Il possibile incremento della lunghezza delle miofibrille consisterebbe nel favorire l’aumento del numero dei sarcomeri in serie.

Questo meccanismo viene innescato sottoponendo la muscolatura scheletrica ad un programma di stretching reitarato nel tempo, soprattutto se accoppiato ad un allenamento ipertrofico ad hoc.

Certi studi confermerebbero che le fibrocellule potrebbero regolare la propria stiffness nonché il limite elastico, per mezzo dell’espressione di una specifica isoforma di titina, una sua variante anatomica.

Attraverso tale adattamento, la cellula muscolare propenderebbe a far partire la tensione da una lunghezza del sarcomero più ampia, così da ottenere la soglia elastica ad un’estensione sarcomerale superiore, generando nel contempo una tensione ridotta.

Questa gestione meccanica potrebbe concretamente essere indotta da un lavoro specifico di stretching.

Influssi sulle parti recettoriali

Il muscolo scheletrico ha due tipologie di recettori che gestiscono la percettibilità relativa alla risposta riflessa: gli Organi Tendinei del Golgi (OTG) e i Fusi Neuromuscolari (FNM).

Gli OTG sono presenti a livello della giunzione miotendinea, risultano disposti in serie alle miofibrille e la loro funzione fisiologica è sentire la variazione di tensione del tendine causata dalla contrazione muscolare, oppure da stiramenti di tipo passivo, come ad esempio durante lo stretching.

Tuttavia, occorre sottolineare che risulterebbero essere maggiormente sensibili alle tensioni generate dalla contrazione muscolare piuttosto che dall’allungamento passivo del complesso muscolo-tendineo; infatti per ottenere una loro risposta in quest’ultimo caso, è necessario uno stretching particolarmente intenso.

In pratica esercitano un’azione protettiva nei confronti della struttura muscolo-tendinea, riducendo tensioni, attive o passive, pericolose attraverso un meccanismo denominato “riflesso miotatico inverso” o “inibizione autogena”: da un lato viene inibita la muscolatura agonista e sinergica, contemporaneamente dall’altro viene facilitata la muscolatura antagonista.

I FNM, invece, si trovano in parallelo alle fibre muscolari e la loro funzione fisiologica è sentire l’aumento della lunghezza del muscolo.

Essi presiedono così al “riflesso miotatico da stiramento”, una risposta muscolare di tipo contrattile, il cui scopo è incrementare il tono del muscolo stirato per salvaguardarne la struttura evitando lacerazioni del tessuto.

Attraverso una pratica assidua e regolare dello stretching, il punto critico in cui s’innescherebbe il riflesso da stiramento, potrebbe essere “resettato” ad un livello superiore.

Conseguentemente a ciò il muscolo si manterebbe rilassato per livelli di allungamento superiori a quelli precedenti la pratica sistematica dello stretching.

Questa ipotesi sarebbe supportata da alcune indagini scientifiche che dimostrerebbero la plasticità adattiva del SNC nei confronti di una possibile modulazione della soglia dell’intensità della risposta del riflesso miotatico da stiramento, soglia che potrebbe essere sia accresciuta, che diminuita, grazie ad un allenamento specifico.

Alcuni sostengono che l’incremento dell’estensibilità muscolare sarebbe da attribuire al cosiddetto stretch tolerance, cioè ad un aumento della tolleranza allo stretching stesso, per cui quest’ultimo provocherebbe una sorta di effetto antalgico.

In sostanza, la sensazione dolorosa dello stiramento diminuirebbe per un aumento della soglia di attivazione dei nocicettori, permettendo così di sopportare allungamenti muscolari di maggiore entità.