Protocollo SGAR

Due importanti osservazioni:

  • Il protocollo SGAR è pienamente efficace se si pratica costantemente tutti i giorni, solo così possono essere indotti quegli effetti fisiologici stabili descritti nella pagina dello stretching.
  • Sebbene qui sotto siano riportati gli esercizi con dovizia di particolari, suggeriamo di svolgerli almeno una volta con un nostro tecnico.

Presentiamo un protocollo originale di stiramento globale auto-correttivo.

La messa a punto di tale sistema di allungamento sottintende in realtà la mancata individuazione di un metodo già esistente capace di soddisfare appieno le nostre esigenze di benessere.

Difatti esso nasce proprio dal forte desiderio di ritrovare la sensazione di leggerezza di un tempo, lungo tutta la colonna vertebrale; e prende forma a poco a poco attraverso una meticoloso studio nonché sperimentazione di quei metodi garanti di un completo rinvigorimento psicofisico.

Sono state così portate avanti indagini e prove empiriche di ogni tipo, fino ad arrivare alla realizzazione di uno strumento terapeutico che si stava tanto cercando.

Esso è costituito da 4 esercizi o fasi come preferiamo chiamarle.

Prima fase: squadra supina con presa del calcagno sulla parete; è mutuata dal metodo Mézières, ma con diverse personalizzazioni.

Come eseguire: in posizione decubito supino con schiena aderente al pavimento, capo spinto dietro, braccia basso fuori-basso avambracci infuori; glutei aderenti alla parete, ginocchia unite, gambe semipiegate, piedi uniti in presa plantare sulla parete. In seguito si passa in squadra supina con presa plantare parziale sui talloni al muro e braccia alto fuori-alto; si effettuano progressive flessioni dorsali dei piedi e delle mani con tenute isometriche alternate di 3 secondi per estendere il più possibile la catena muscolare posteriore.

Sottolineiamo i punti da tenere bene in considerazione:

La persona deve prendere assoluta consapevolezza delle sensazioni comunicate dal corpo, così da poter effettuare fini correzioni riguardo l’intensità dello stiramento nonché della posizione.

A tal fine la cosa migliore sarebbe di fare stretching completamente nudi, con solo un buon tappetino coperto da un asciugamano.

Si deve arrivare in massimo stretching gradualmente, questo significa che prima bisogna posizionarsi con i glutei attaccati alla parete e l’osso sacro ben àncorato a terra; al fine di garantire ciò comodamente, le gambe sono piegate con l’angolo che si preferisce, ed i piedi poggiano al muro con il tallone o tutta la pianta (vedi fig. 1).

Mantenendo salda la posizione del bacino, incastrato tra il muro ed il pavimento, si afferra il capo a livello dell’occipite con entrambe le mani coadiuvando a spingerlo dietro (significa che lo sterno si porta verso il mento e quest’ultimo nel contempo arretra), cosi da far aderire pian piano tutta la colonna vertebrale al pavimento (vedi fig. 2). N.B. coloro che presentano una cifosi molto accentuata possono iniziare poggiando la nuca su una sorta di “cuscino” così da riuscire a mantenere il mento verso il basso e in direzione dello sterno (il capo NON DEVE MAI flettersi dietro con il mento che punta verso l’alto!!); chiaramente va valutato lo spessore del cuscino che deve consentire una buona trazione e con la pratica costante a poco a poco verrà ridotto fino a toglierlo del tutto. 

fig.1
fig. 2

È importante percepire la schiena come fosse un elastico in trazione; dopo 1-3 minuti si distendono le gambe, se si preferisce anche una alla volta, fino a raggiungere la massima trazione di tutta la catena posteriore (vedi fig. 3).

Coloro che hanno una catena muscolare posteriore molto accorciata non riusciranno a raggiungere subito tale posizione, e dovranno conquistarla a poco a poco con la pratica costante, pertanto la distensione delle gambe è limitata al punto in cui possono conservare stabile l’aderenza dell’osso sacro con il capo spinto dietro.

I piedi rimangono uniti e se si vuole incrementare lo stiramento si flettono dorsalmente, mentre le braccia seguono le progressioni descritte in precedenza (vedi fig. 4).

fig. 3
fig. 4

Risulta fondamentale mantenere sempre la simmetria di piedi, creste iliache, spalle, braccia e l’assialità del busto.

Bisogna sapientemente attivare la muscolatura, per evitare ogni tipo di compensazione che renderebbe inefficace lo stiramento, e rilassarla, ad intervalli regolati secondo la volontà di insistere della persona, senza alterare la corretta posizione.

La respirazione ideale sarebbe diaframmatica, lenta e profonda; pienamente consapevole in ciascun atto ventilatorio.

La durata complessiva della prima fase varia dai 12 ai 21 minuti.

Se nella posizione a squadra supina si rimane per più di 15 minuti in genere si addormentano piedi e gambe; tuttavia abbiamo constatato che questa tendenza diminuisce con la pratica quotidiana.

In qualsiasi caso, le gambe devono essere piegate lentamente senza staccare i talloni dalla parete, se si preferisce anche una alla volta, fino a formare un angolo leggermente ottuso; i piedi si portano paralleli ad una larghezza appena più ampia di quella del bacino (vedi fig 5). Le punte dei piedi possono essere attivate con movimenti di flessione dorso-plantare così da facilitare l’uscita dallo stato di intorpidimento, per cui di norma sono sufficienti pochi istanti.

fig. 5
fig. 6

Seconda fase: Hip thrust con presa plantare a parete.

Quando ci si sente pronti, con piena presa plantare alla parete si porta verso l’alto il bacino, come nel noto esercizio “Hip thrust”, facendo molta attenzione a non allontanarsi dal muro, ma concentrandosi a sollevare in modo progressivo e con forza vertebra per vertebra (effettuando così una rullata ascendente della colonna vertebrale) fino a raggiungere la verticale rimanendo esclusivamente in appoggio su nuca e spalle (vedi fig. 6 e 7).

Durante l’elevazione del sacro (rullata ascendente della c.v.), per far aprire al massimo l’angolo del bacino, ad un certo punto è necessario staccare i talloni dalla parete ed effettuare una rullata dei piedi, rimanendo in presa solo sulle punte (vedi fig. 8).

fig. 7
fig. 8

La posizione raggiunta va mantenuta a piacere, noi suggeriamo dai 10 ai 90 secondi, e deve essere svolta soltanto una volta.

Dopodiché si passa al momento più importante della seconda fase, ovvero lo srotolamento lento e controllato della colonna vertebrale (rullata discendente della c.v.), rimanendo con il capo spinto dietro: si ritorna a far aderire a terra vertebra per vertebra fino ad adagiare completamente l’osso sacro.

Durante questa procedura, per consentire una chiusura omogenea dell’angolo del bacino, si ritorna in piena presa plantare (vedi fig. 9).

La posizione finale va mantenuta dai 10 ai 90 secondi (vedi fig. 10).

fig. 9
fig. 10

Terza fase: in posizione ortostatica, piedi paralleli con larghezza di poco più ampia di quella del bacino e punte in lieve extrarotazione, si porta il peso del corpo al centro del piede, braccia incrociate a gomiti alti, al di sotto del parallelo della spalla, e capo spinto dietro (vedi fig. 11 e 12).

Si deve avvolgere in modo consapevole vertebra per vertebra, di conseguenza il busto si inclina in avanti (vedi fig. 13 e 14).

fig. 11
fig. 12
fig. 13
fig. 14

Quando si raggiunge la flessione forzata, si distendono completamente le braccia in direzione del suolo (vedi fig. 15 e 16).

Dopo circa 10-60 secondi i piedi si portano paralleli alla larghezza del bacino e si sposta il peso del corpo sui talloni per enfatizzare l’allungamento di tutta la catena muscolare posteriore; tale posizione va mantenuta a piacere, dai 10 ai 120 secondi (vedi fig. 17).

Passato il tempo voluto, si piegano leggermente le ginocchia, si stringono forte i glutei e si srotola lentamente la schiena per ritornare nella stazione eretta (vedi fig. da 18 a 22).

Nel corso di quest’ultima delicatissima procedura, per allegerire il lavoro dei muscoli estensori del rachide, ci si può aiutare poggiando le mani sulle gambe.

Al termine si possono a piacere effettuare delle circonduzioni del capo, ne suggeriamo solo uno-due in senso orario e antiorario.

fig. 15
fig. 16
fig. 17
fig. 18
fig. 19
fig. 20
fig. 21
fig. 22

Quarta fase: è la più difficile da far capire come realizzarla in maniera ottimale, si tratta di far confluire a livello lombare (specie nel tratto L5-S1) due forze che esercitano una potente azione di decompressione:

  1. la flessione plantare, che sposta il bacino verso l’alto e in avanti in una posizione diagonale e soprattutto in assenza di carico;
  2. la forza di gravità, che perpendicolarmente spinge il bacino privato del carico verso il suolo.

 È necessario un tavolo (o qualcosa di affine) con altezza compresa tra 70-85 cm (ideale 75 cm) per meglio comprendere la corretta esecuzione.

Tuttavia una volta raggiunta la piena padronanza dell’esercizio, si possono utilizzare anche superfici di appoggio di altezze inferiori.

Si parte in posizione di corpo proteso dietro, con presa palmare sul bordo del tavolo, a pollici infuori e passo normale.

L’importante è l’individuazione della giusta distanza dei piedi dall’attrezzo, cosa che si ottiene verificando prima di tutto la distribuzione del peso corporeo, il quale deve gravare sulle piante dei piedi, disposti paralleli e con passo stretto.

Secondo aspetto, le braccia devono trovarsi in “avanti” in modo da disegnare virtualmente con il busto un triangolo equilatero la cui base si proietta lungo l’asse sagittale polso-bacino (vedi fig. 23).

A questo punto bisogna trasferire il peso del corpo lentamente dai piedi alle mani e nel contempo con grande consapevolezza sentire l’alleggerimento della zona lombare.

Nel passaggio appena descritto, i talloni si sollevano da terra e si spinge con le punte dei piedi, il corpo passa in posizione ad arco con le spalle che si collocano perpendicolarmente alle mani e ricevono tutto il peso del corpo (vedi fig. da 24 a 26).

Quando tutta la biomeccanica della quarta fase viene svolta nel migliore dei modi, si riesce a percepire chiaramente come la sensazione di rimozione di un peso, o se si vuole di un blocco, dal tratto lombare e nel contempo di allungamento delle catene muscolari antero-inferiore e inspiratoria (vedi fig. 27).

La posizione finale va mantenuta a piacere da 10 a 90 secondi, poi si effettuano tutti i passaggi a ritroso (vedi fig. 28 e 29).

fig. 23
fig. 24
fig. 25
fig. 26
fig. 27
fig. 28
fig. 29